IL
CANTO DELLE BALENE
Di Dante Balbo
Gli androidi possono sognare pecore elettriche? Se non siete sconcertati
da questa domanda di Philip K. Dick che con Blade Runner ha segnato tutta la
fantascienza degli ultimi decenni, ebbene gusterete la novella che segue in
atmosfera rigorosamente gibsoniana. L'autore non è Dick e neppure Gibson
ma il nostro Dante Balbo di Caritas Ticino, personalità ecclettica che
si cimenta qui con un genere letterario che non può purtroppo trovare
molto spazio su questa rivista ma si respira piuttosto nelle copertine/copertine di Caritas
Insieme che spesso confezioniamo sognando galassie, tecnologia e replicanti.
E se vi è piaciuta e volete restare in ambiente, noleggiatevi alla videoteca
all'angolo la cassetta di Blade Runner, Johnny Mnemonic o Nirvana. In attesa
che Caritas Insieme TV realizzi qualcosa del genere con una novella di Dante
Balbo naturalmente! Buon divertimento. Roby Noris
La notte
artificiale scese come dopo ogni scansione temporale nell'area 114 del blocco
BZ86 nel settore occidentale della Città.
Del resto notte o giorno erano termini strani, studiati nelle biblioteche virtuali,
durante i periodi di "formazione" e, qui, corrispondevano solamente
ad un leggero cambio di colorazione luminosa, legato alla gestione dei ritmi
fisiologici.
I suoi erano stati regolati per la veglia nel periodo di scansione notturna,
per permettergli di lavorare mentre altri riposavano.
Era seduto
come al solito davanti alla parete-schermo della sua postazione di guardia,
mentre centinaia di occhi elettronici frugavano il Fuori in attesa del nemico.
Un odore aspro che nel quadrante apposito era indicato col nome di Muschio avvolgeva
la stanza. Sfiorò la parete e l'odore si mutò in un'altra fragranza,
che si chiamava Aria e non sapeva di niente.
Era quella che preferiva, anche se era sconsigliata dai segnalatori che ogni
tanto gli proponevano un cambiamento aromatico.
I laser
esploratori non rilevavano alcun che come sempre e il nemico non sarebbe venuto
neppure questa notte.
Con un battito di ciglia attirò l'attenzione del compagno di lavoro che
si era immerso in un incontro virtuale di lotta corpo a corpo con il nemico,
tanto per tenersi in esercizio.
"Ne
hanno mai visto uno?" chiese senza aprire la bocca, gesto disdicevole e
comunque proibito al loro livello.
"Credo di sì, le descrizioni sono abbastanza dettagliate."
rispose telepaticamente il compagno.
"Beh, tanto dettagliate non direi ...".
"Come no, si sa che è grosso, è cattivo, non ha le braccia,
produce suoni con il corpo e puzza!" si infervorava sempre quando pensava
del nemico, il suo compagno. Se non lo avesse conosciuto da tempo, avrebbe giurato
che stava per parlare.
"Alla prossima scansione esco e lo vado a cercare." spiegò
calmo, perlustrando il nulla del Fuori con gesti rapidi sui quadranti.
Il compagno questa volta parlò, infrangendo per un attimo ogni regola:
"Ti si è sciolto qualche neurotrasmettitore o hai un difetto di
clonazione?" poi continuò in silenzio, riprendendo il controllo;
"Siamo stati prodotti lo stesso periodo, la stessa scansione, ma tu sei
strano!
Nessuno
è mai tornato dal Fuori. Il nemico fa sempre così, attira nel
Fuori, poi divora ..."
Fu quasi un urlo nel suo cervello questo pensiero sospeso, in cui sentì
tutta la forza dei corsi di addestramento che avevano fatto insieme.
Chiuse la comunicazione, prima che fosse intercettata dal Grande Pensiero, scusandosi
con il suo compagno per avergli procurato una scansione di privazione del silenzio,
come punizione per aver parlato e si rivolse ai suoi quadranti.
Erano terribili
quelle scansioni passate nella stanza dei suoni, dove implacabili scritte sulle
pareti-schermo annunciavano cose spaventose come: Rumore di stoviglie, aerei,
ciclomotori, chiacchiere al mercato.
Erano tutte cose in verità quasi incomprensibili, perché non vi
era nulla di corrispondente nel suo blocco, né negli altri della Città,
anche se le "chiacchiere al mercato" gli ricordavano i suoni di gente
che parlasse, ma con parole ignote.
Correva il pensiero che fossero prodotti andati male, usati per fabbricare suoni
punizione e poi buttati via.
Quando la
luce cambiò, con un cenno salutò il compagno, senza attivare alcuna
comunicazione e si diresse al disintegratore per cambiare guaina.
Fu spogliato e rivestito in un batter di ciglia, nel più perfetto silenzio,
dalle mani virtuali che lo aspettavano e si incamminò senza rumore, negli
ampi corridoi della Città.
Gli ci vollero due o tre scansioni per raggiungere l'unica uscita che si trovava
nel settore nord e dovette cambiare guaina qualche volta prima di toccare il
pannello che apriva la Città.
Il Grande
Pensiero forzò i suoi sistemi per cercare di farlo recedere dalla sua
decisione, ma ormai era in viaggio.
Esitò un solo istante, poi toccò il pannello e la porta si aprì.
Il "fuori
era come la Città, almeno all'inizio, un grande corridoio con aperture
a destra e a sinistra e un soffitto di vetro opaco con indicazioni consuete:
Il Fuori è pericoloso, il nemico è grosso, è cattivo, puzza
...
Poi, improvvisamente, il corridoio finì.
Era Fuori.
Cadde tramortito,
mentre un odore pungente lo colpiva e un rumore assordante gli faceva tremare
ogni fibra.
Dell'odore aveva un vago ricordo: si chiamava "Salmastro" e veniva
usato in certe sedute virtuali erotiche, quando molte scansioni prima era stato
addestrato a controllare le emozioni corporee.
Il rumore invece gli era del tutto sconosciuto, perché non c'era neppure
nella stanza dei suoni.
Per molto tempo non riuscì a fare altro se non tremare, mentre tentava
di orientarsi in quel frastuono.
Dai suoi schermi non aveva mai visto niente di simile, il Fuori non era quello
che gli mostravano i laser esploratori, era vivo, diverso, luminoso, rumoroso
e odorava.
Imparò
a distinguere i rumori, scopertine/coprì il suono dei suoi passi, del vento, delle
cose.
Il pavimento del Fuori era strano, certe volte liscio, certe altre frammentato,
con pezzi grossi e piccoli.
La cosa più sorprendente era il sopra, un sopra infinito, che certe volte
splendeva e produceva caldo, altre volte baluginava di luci ma faceva freddo.
I corridoi non esistevano, ma c'erano come dei segni sul pavimento, delle strisce
lunghe e bordate, che si incrociavano e tracciavano una specie di mappa del
Fuori.
L'odore "salmastro" non andava via, perché non c'erano quadranti
da toccare e veniva da una cosa grandissima che stava sotto di lui, ma molto
distante.
Camminò per molte scansioni, che adesso si distinguevano benissimo perché
qui erano molto differenziate.
Scese così in quella che qualche tempo dopo avrebbe chiamato una spiaggia
e potè finalmente toccare quella cosa che odorava.
Fu una sensazione
strana, mai vissuta prima.
In quella cosa poteva entrare, gli rimaneva addosso e lo ricopertine/copriva. Poteva anche
lasciarsi portare come quando faceva le sedute di desensorializzazione. Provò
a toccare anche la cosa con la bocca e fu disgustato. Nella Città, l'introduzione
di liquidi nel corpo era gestita automaticamente durante il sonno da appositi
compensatori applicati alla pelle, mentre nel Fuori aveva scopertine/coperto che bisognava
ingerire dei liquidi che scorrevano fra le strisce della mappa.
La cosa era come un grandissimo serbatoio di liquido, ma non si poteva inghiottire.
Imparò anche a mangiare, scopertine/coprendo che vi erano delle cose di forme diverse
appese a quelli che nelle biblioteche virtuali chiamavano alberi e, per un po'
di scansioni, sopravvisse.
Ma era solo.
Il Fuori era diverso da come lo descrivevano, ma era deserto.
Infine, una volta che il sopra era caldo, sentì, mentre riposava sulla
spiaggia, un rumore noto.
Erano le "chiacchiere al mercato" della stanza dei suoni.
Pensò di sognare, anche se era stato addestrato ad evitare il ricordo
dei sogni, credendo di essere per sbaglio nella stanza delle punizioni acustiche.
Ma il rumore continuava a persistere e anzi si avvicinava.
Aprì gli occhi e vide attorno a sé cinque o sei esseri senza guaina
come lui, visto che la sua era andata distrutta al contatto con la cosa odorosa
di Salmastro.
Parlavano e non sembravano ostili.
Tentò di attivare il comunicatore mentale, ma ottenne un accavallarsi
di pensieri indistinto.
"Chi
siete?" la sua voce gli risultò estranea.
"Tu vieni dalla Città?" chiese uno di loro parlando senza ritegno.
"Sì."
"Anche noi, ma siamo qui da molto tempo."
"Allora lo avete visto?"
"Chi?"
"Il nemico!"
Il suono che uscì dalle loro bocche non lo ricordava e non era una parola,
ma un rumore come "le stoviglie", mentre le loro facce si contorcevano.
Si spaventò e avrebbe voluto fuggire, se uno di loro non lo avesse trattenuto,
con un cenno fermo e delicato:
"Scusa, la risata, capirai!".
Risata, una cosa così proibita che l'aveva rimossa.
"Come ti chiami?"
"Chiami?"
"Già, qui non usiamo la comunicazione telepatica, per cui ognuno
di noi ha un nome, un'etichetta, per riconoscerlo. Quando vuoi comunicare con
lui devi ricordare il suo nome."
"Io non ho nome, nessuno ha nome nella Città."
Il silenzio
costernato cadde fra gli esseri e qualcuno di loro fece una cosa ancora più
proibita della risata: lasciò gocciolare dagli occhi del liquido corporeo.
Poi quello che sembrava il più esperto fra di loro riprese:
"Cosa ti piace di più del Fuori, come lo chiami tu?"
Non ebbe esitazioni: "La cosa che odora di Salmastro."
"Bene, tu sarai Salmastro. Io sono Cascata, mentre lui è Luce-splendente
e lei è Acqua-che-scorre..."
E così
via a conoscere i nomi degli altri, che si chiamavano con parole che sapeva
e con altre sconosciute.
Fu come ricominciare la "formazione", riscopertine/coprire il mondo e ridisegnarlo
con gli altri.
Salmastro imparava in fretta e conobbe altri gruppi di uomini e donne, vivendo
con loro e crescendo.
Scopertine/coprì che il Fuori era vivo e che quelle cose che nella Città
erano proibite, lì, erano ricchezza.
S'innamorò perfino, un'esperienza terribile e affascinante nello stesso
tempo, scopertine/coprendo che uomini e donne nascono da uomini e donne quando si uniscono.
Molte cose imparò dalle persone, molte altre da dei rudimentali sistemi
di comunicazione che risalivano a periodi immemorabili, che si chiamavano libri.
Trovò le parole per dire molte cose, come mare, casa, amore, musica,
pianto, libertà.
Comprese il dolore dei suoi compagni nel ricordare la Città fatta di uomini e donne senza nome e sentì tutta la rabbia per ciò che veniva loro tolto.
Si era dimenticato il nemico, che gli sembrava un'invenzione della Città per vivere secondo il suo sistema assurdo e oppressivo, finché un giorno non lo incontrò.
Non era
uno, ma tanti, tutti insieme, tremendi e strani.
Sui libri non c'era niente di loro, se non il nome e un disegno.
La prima cosa che avvertì fu il loro odore, come di terra e di mare insieme,
forte e penetrante.
Poi udì la loro voce, un canto, un lamento, un grido struggente come
di nostalgia, che non usciva dalla bocca, ma da un tubo sul dorso.
Poi le vide, senza braccia, enormi, guizzanti nel mare.
Si fermò attonito sulla riva, mentre loro intrecciavano una strana danza,
non molto lontano.
"Sono balene!" disse Luna-che-sorge, la sua compagna.
Non rispose Salmastro, mentre gli occhi gli si gonfiavano di lacrime e si lasciava
scivolare nel mare.
"Non avvicinarti troppo, sono grandi e non sanno che possono farti male!"
gli gridò Luna-che-sorge.
Nuotò fino quasi a toccarle, irretito dal loro canto.
Poi di colpo
si scosse, come da un sogno e si volse alla spiaggia, risoluto, elettrizzato.
Nella Città era un tecnico di quarta classe, ma ne sapeva abbastanza.
"Le balene libereranno la Città!" esclamò trionfante.
Radunò
gli uomini e lavorarono per molti giorni attorno ad un apparecchio imponente.
Poi lo piazzarono davanti al corridoio di uscita della Città e lo misero
in funzione.
L'amplificatore primitivo, ma efficace, raccolse il canto delle balene e lo
ritrasmise nel corridoio come un fiume in piena.
Il canto si diffuse, prima solo come un disturbo, poi come un vero e proprio
turbine che travolse la Città.
Era davvero il nemico, pericoloso per il sistema, non per gli uomini.
Le sue frequenze, infatti, mandarono in frantumi l'intero soffitto della metropoli
e, d'improviso, per la prima volta, sugli abitanti increduli, si spalancò
il cielo.